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EM E MICORRIZE – COSA SONO E PERCHE’ COSEPBIO HA DECISO DI UTILIZZARLI

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Stiamo imparando a “collaborare” con alcuni piccoli organismi per prenderci cura delle vostre verdure e dei nostri campi.

Coltivare l’orto con metodo biologico, infatti, non vuol dire essere perennemente in balia delle avversità e assistere impotenti agli attacchi di insetti e malattie fungine. Queste problematiche, che possono distruggere il raccolto, non si combattono solamente con l’uso di pesticidi o fungicidi chimici ma anche con strategie di difesa sostenibili, che prendono spunto da processi già esistenti in natura.

Due citazioni per introdurre una tematica. Un concetto dovrebbe essere chiaro, ormai. Siamo circondati dalla vita. Il suolo è vita. E da qui bisogna partire. L’agricoltura è un modo razionale per provvedere al fabbisogno nutrizionale dell’umanità. E sappiamo che c’è agricoltura e agricoltura. Da tempo ci si pone il problema dell’impatto ambientale intimamente legato alla produzione e chiaramente, di fronte ad un problema si cercano più soluzioni, a seconda delle correnti di pensiero e di chi si prende carico di produrre inquinando meno o non inquinando.

Nell’agricoltura biologica, i metodi sono molteplici e spesso sono applicati in modo direttamente proporzionale alle dimensioni dell’attività di chi produce. Un distretto agricolo non è un consorzio. Una cooperativa sociale non è una multinazionale. Nel caso dell’agricoltura tradizionale, le avversità si affrontano a base di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici, se parliamo poi di coltivazione intensive, abbiamo serre climatizzate, sistemi per proteggere il raccolto, e quant’altro.

Nel biologico, apparentemente è tutto più complesso. Le linee guida del metodo di coltivazione sono comuni, ma le varianti sono tantissime. Se consideriamo biologico anche il metodo biodinamico, la permacultura e l’agricoltura naturale poi il discorso si presta a diventare inesauribile.

Nell’agricoltura tradizionale o nelle forme miste come la lotta integrata o l’agricoltura blu, diserbanti, fertilizzanti e pesticidi, semplificano il processo produttivo. Ovviamente, venendo meno l’uso del prodotto di sintesi, proteggere un raccolto diventa una questione che presenta alcune problematiche.

Ne abbiamo già parlato in passato, ma giusto per introdurre un elemento di novità, noteremo che oramai, nel campo dell’agricoltura biologica si son fatti alcuni passi significativi. La questione non è solo difendere la produzione, tutelarla dai tipici inconvenienti dell’attività agricola, bensì, ottimizzare il lavoro di arricchimento del terreno e adoperare elementi organici che aiutino la crescita delle piante.

https://www.youtube.com/watch?v=kkr5Os0oWjw

In questo senso uno degli ultimi ritrovati della coltivazione bio sono le micorrize: una tecnica rivoluzionaria che sfrutta l’associazione positiva tra funghi e apparato radicale della pianta. Per micorrize si intende proprio questo rapporto di simbiosi che si viene a creare nella rizosfera, ovvero la porzione di suolo adiacente alle radici della pianta.

Il termine “micorrize” dice già tutto: mycos è il termine greco per dire fungo, mentre rhiza significa radice. La simbiosi tra fungo e pianta ha luogo quindi nell’apparato radicale della pianta e comporta un reciproco scambio tra i due organismi coinvolti: nel nutrimento e nella creazione di un ambiente favorevole a microrganismi utili, e sfavorevole a patogeni e parassiti.

Cosa sono questi microrganismi? I microrganismi sono piccole forme di vita che possono essere osservate solo attraverso il microscopio. Essi costituiscono le basi dell’origine della vita sul nostro pianeta e sono essenziali per la vita stessa avendo svolto, fin dall’origine, un ruolo cruciale affinché si sviluppassero gli esseri viventi sulla Terra.

I microrganismi giocano un ruolo chiave anche nella produzione del cibo. Fra questi alcuni vengono utilizzati dall’uomo da migliaia di anni, nei processi di produzione degli alimenti (pane, vino, birra) nonché nelle fasi della loro maturazione e conservazione. Gli ambienti frequentati dai vari microorganismi sono i più disparati, spaziando dal terreno agricolo ai suoli incolti delle terre emerse, ai fondali marini, agli organi interni di piante e animali, con cui alcuni microrganismi possono non solo pacificamente convivere, ma addirittura instaurare rapporti di scambio.

I microrganismi “decompongono” i materiali organici per renderli assimilabili dalle piante e da altri organismi. In ogni momento abbiamo milioni di microrganismi nel nostro organismo: i batteri benefici che scindono le sostanze che ingeriamo e rilasciano sostanze quali gli amminoacidi (i mattoni delle proteine), gli antiossidanti e gli enzimi (https://dittaamore.it/microorganismi-effettivi).

Oltre alle micorrize, anche i microrganismi possono essere impiegati in ambito agricolo a beneficio del suolo e delle piante. Ad ideare l’uso di una gamma di microrganismi da adoperare nel terreno, fu il Dr. Teruo Higa, Professore dell’Università di Ryukyus in Okinawa (Giappone), che sperimento’ gli EM, i cosiddetti microrganismi effettivi, per intenderci, quei batteri presenti in natura sia nel terreno che nel corpo umano, che spesso assumono il nome di flora batterica.

I microrganismi effettivi sono in sostanza una miscela di batteri della fotosintesi (Rhodopseudomonas palustris), batteri dell’acido lattico (Lactobacillus plantarum ed il Lactobacillus casei) e lieviti (Saccharomyces cerevisiae). Analizzando il comportamento di varie combinazioni di microorganismi ha elaborato il “principio di prevalenza”, non pienamente comprovato scientificamente; l’influenza, cioè, di una combinazione di alcuni ceppi di microrganismi in ecosistemi come terreni o acque.

I microrganismi da lui osservati, se posti in maggioranza, influenzano a catena il comportamento di altri microrganismi e stimolano diverse attività biologiche antiossidanti, da lui denominate “rigenerative”, che contrastano le attività biologiche ossidative, da lui chiamate “degenerative”.

Teruo Higa affermò che una combinazione di circa 80 microrganismi è capace di decomporre la materia organica in modo da “promuovere la vita”. Ci sarebbero tre gruppi di microrganismi: “microrganismi positivi” (che hanno effetto sulla rigenerazione della vita), “microorganismi negativi” (che decompongono) e “microrganismo opportunisti”. In ogni bioma il rapporto tra “positivi” e “negativi” è critico, dato che i microrganismi opportunisti possono prendere o perdere il sopravvento in determinate condizioni (https://it.wikipedia.org/wiki/Microrganismi_effettivi).

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Higa dice di non aver inventato nulla bensì di avere utilizzato, dopo averlo studiato a lungo, ciò che esiste in natura. Sono le scoperte che fanno progredire il corso della scienza, per quanto alcune voci dichiarino che il metodo di Higa non abbia basi scientifiche. Ma se molte realtà che si occupano di agricoltura hanno deciso di utilizzare gli EM, risulta chiaro che ci sia un’evidenza, sull’efficacia di questo approccio.

La terra, dicevamo in precedenza, è viva, pullula di vita, una vita che si trasforma e trasforma, composta di insetti, batteri, funghi, vermi. La forma commerciale per l’agricoltura è presente in bottiglie contenente soluzione acquosa e melassa, poichè quest’ultima è ricca di zuccheri che costituiscono il nutrimento principale degli EM.

Per dirla in termini piuttosto semplici, la combinazione micorriza, crea una sinergia con i microrganismi EM e assicura il rapporto mutualistico tra pianta e ambiente.

Questo riduce notevolmente la quantità di attenzioni che l’agricoltore normalmente dovrebbe dedicare alle coltivazioni, poiché buona parte del lavoro di nutrimento, ricerca di acqua, sali minerali viene facilitata dall’attività micotica e dei batteri.

Come accennavo prima, Cosepbio sta usando questo metodo, per molti inedito, poiché arricchisce il terreno, tutela l’ambiente e garantisce raccolti sani. Seguendo certe filosofie giapponesi, vedi Fukuoka e lo stesso Higa, il concetto di questa metodologia applicata all’agricoltura biologica recupera un’istanza preziosa per gli esseri umani.

Lavorare nei campi è duro, il senso comune identifica l’attività agricola come un lavoro ingrato, che costa fatica, sacrifici e che può dare risultati scarsi a causa delle stagioni inclementi, delle variazioni meteorologiche sfavorevoli, per una serie di incertezze generate dal fatto che l’uomo non può piegare la natura senza risponderne.

Ma quando si comincia a ragionare in termini di ottimizzazione delle risorse idriche, della cura e della salvaguardia della biodiversità, della riduzione o dell’annullamento dell’impatto ambientale e della facilitazione implicita nel concimare la terra, nutrire le piante, lasciando ad un certo punto che la natura agisca da sola, ecco che si profila un’idea di lavoro sganciato dallo sfruttamento e che comporta realizzazione e soddisfazione. Si va verso un’ecologia della mente, per scomodare Bateson, prima di un’ecologia di carattere “olistico”.

Giorgio Masili

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