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“Più la gente fa, più la società si sviluppa, più aumentano i problemi. La crescente devastazione della natura, l’esaurimento delle risorse, l’ansia dello spirito umano, tutte queste cose sono state provocate e diffuse dal tentativo dell’umanità di realizzare qualcosa. In origine non c’era nessuna ragione per progredire e non c’era nulla che dovesse essere fatto. Siamo arrivati al punto in cui non abbiamo altra via che portare avanti un movimento che non porti avanti niente.” (da “La Rivoluzione del filo di paglia, Masanobu Fukuoka).

Un uomo come Masanobu Fukuoka dà l’idea di serenità. Di armonie ed equilibri sconosciuti ai più. Una cosa molto giapponese, da un certo punto di vista una forma di zen applicata all’agricoltura che, come abbiamo visto, non è soltanto nutrimento e lavoro, né tanto meno profitto. Anche perchè qui si parla di sussistenza personale, più che di commercio.

Leggendo alcuni articoli, che introducono al suo pensiero e alle sue pratiche, viene in mente la permacultura, un po’ la biodinamica, spogliata dei suoi rituali, fino ad arrivare alla definizione di “agricoltura naturale”. Pare un ossimoro poiché non esiste un’agricoltura naturale nel senso stretto del termine. La natura non l’ha inventata. Ma Fukuoka interviene proprio in questa antitesi facendosi interprete della naturalezza dell’essere umano.

Come i batteri e gli insetti operano per arricchire il terreno, l’uomo ha il compito di riorganizzare e poi di lasciar fare il resto al preesistente. Il “non fare”, diventa il cardine dello zen del maestro giapponese. Uno scienziato che si sveste delle sue conoscenze per ripartire da zero. Vediamo quindi, un breve stralcio della sua biografia per capire meglio, cosa ha portato alla luce dell’evidenza quest’uomo.

“All’età di 25 anni, Masanobu Fukuoka, tecnico di laboratorio addetto alla ricerca di insetti portatori di malattie, presso la Dogana di Yokohama, nel 1938, dopo aver temuto di morire per una polmonite, entra in una profonda crisi esistenziale alla ricerca del significato della vita e della morte.

Non riesce più a concentrarsi sul proprio lavoro e vaga di notte sulla scogliera, finché all’alba di un giorno destinato a cambiare la sua vita, formula il pensiero intuitivo che sarà alla base della sua personale rivoluzione: “L’umanità non sa assolutamente nulla. Nessuna cosa ha valore in se stessa e ogni azione è inutile, senza senso”.

Per verificare se la sua intuizione è giusta o sbagliata e per poterla spiegare mettendola in pratica decide di coltivare riso e cereali invernali nel podere del padre. Per trent’anni mette in pratica quella che lui stesso definisce l’agricoltura del “non fare” condotta in armonia e in cooperazione con l’ambiente, evitando il più possibile di interferire con le proprie azioni nel delicato equilibrio della natura.

Mentre nell’agricoltura tradizionale si sperimentano nuove tecniche chiedendosi: “se si provasse questo o se si provasse quest’altro?”, Fukuoka cerca un modo naturale di coltivare ponendosi la domanda: “e se si provasse a non fare questo o a non fare quest’altro?”. Alla fine arriva alla conclusione che sono davvero poche le pratiche agricole veramente necessarie.”

Notiamo che in pochi passaggi rari ed essenziali fa piazza pulita della Storia, del progresso, della scienza e della tecnologia. Era meglio lasciare tutto come stava. Questo naturalmente è un artificio, dal momento che la stirpe umana ha vissuto periodi di raccolta, coltivazione, caccia, allevamento, tendendo alla sopravvivenza. Ci saremmo estinti da tempo, probabilmente, se non ci fossimo evoluti, con quello che concerne il concetto controverso di evoluzione. E che antropologi, biologi, linguisti e altri dottori della scienza si scatenino pure.

Chi porta a galla il pensiero di Fukuoka è Larry Korn, docente che lavorò con il giapponese per due anni nella sua fattoria e poi collaborò con lui, girando il mondo per illustrare i principi dell’agricoltura naturale. Korn era un fitopatologo che ora insegna permacultura e discipline inerenti all’insegnamento di Fukuoka. Bisogna prendere in considerazione il linguaggio di questa filosofia che appare localistica, nel senso culturale… il Giappone ha una storia complessa, una cultura di difficile comprensione e l’approccio alle teorie di questo tipo può sembrare difficoltoso, se non impossibile. Korn riesce però a decrittare in maniera efficace i concetti basilari della disciplina per renderla fruibile: tutto si può esportare, dopo averlo compreso.

“Fonda la sua agricoltura del non fare sull’applicazione di 4 regole fondamentali e su un rivoluzionario uso della paglia:

  • nessuna lavorazione, cioè niente aratura né capovolgimento del terreno. La terra si lavora da sola per natura con la penetrazione delle radici delle piante e l’attività dei microrganismi, dei piccoli animali e dei lombrichi.
  • nessun concime chimico né composto preparato. Lasciato a se stesso, il suolo conserva naturalmente la propria fertilità, in accordo con il ciclo ordinato della vita vegetale e animale.
  • nessun diserbo, né con l’erpice, né con diserbanti. Le erbacce hanno il proprio ruolo nella costruzione della fertilità del suolo e nell’equilibrare la comunità biologica. Come norma le erbacce dovrebbero essere controllate, non eliminate.
  • nessuna dipendenza dai prodotti chimici. La natura, lasciata fare, è in equilibrio perfetto. Insetti nocivi e agenti patogeni sono sempre presenti, ma non prendono mai il sopravvento fino al punto di rendere necessario l’uso di veleni chimici.”

https://www.youtube.com/watch?v=sKlSh8Tpi0U

Pochi e mirati interventi e poi… andate a dormire. Così si esprime in uno dei suoi commenti sulla sua attività, Fukuoka; un caos organizzato che può anche disturbare il senso estetico occidentale, abituato a considerare il popolo nipponico preciso e ordinato su ogni cosa. Ma qui stiamo parlando di un altro ordine, dove l’estetica non è necessariamente contemplata.

In poche parole, niente aratura, niente diserbo, ovviamente nessun diserbante o fertilizzante, poiché anche le erbe infestanti hanno una loro funzione e la terra si concima e si rigenera da sola, niente file di vegetali, poiché i parassiti camminano in linea retta e possono distruggere i raccolti, quindi tutto in ordine sparso, con copertura in paglia, lasciando che i residui delle piante rientrino nel ciclo della trasformazione naturale evitando concimazioni che Fukuoka ritiene non solo inutili ma anche dannose.

Si evita fatica inutile e si ottengono risultati migliori. Di sicuro l’enunciazione di queste regole provoca un effetto di stupore e incredulità; questo è però un metodo serio ampiamente testato e verificato e il suo ideatore non è un filosofo, con tendenze hippy, ma uno scienziato, un ricercatore, che ha dedicato anni a questa ricerca. Convertire un’azienda all’agricoltura naturale, non è un’operazione immediata. La fertilità del suolo necessaria per liberarsi dalle pratiche dell’aratura, si ottiene dopo anni di applicazione del metodo (la cosa sorprendente è che continuerà a migliorare negli anni).

Giova ripetere: niente prodotti chimici. Chissà che si cominci ad eliminarli del tutto dal globo terrestre, dal momento che le colture intensive, industriali, omologate, possono benissimo essere cancellate con miliardi di microrealtà come l’agricoltura naturale. Basterebbe creare reti e connessioni. Tra realtà e realtà.

Per scoprire che possiamo nutrirci di cibi semplici e poco considerati perché non interessano al mercato, ad alto potere nutritivo e vitaminico. Se siamo in terre di utopia, dobbiamo anche ricordare che esistono possibilità infinite di cambiare le cose e ci sarà sempre uno scribacchino lobbista che punterà il dito verso pratiche che non capisce o che teme che gli facciano perdere il posto di lavoro.

Siamo in un mondo dove per far finta di creare posti di lavoro, si giustifica inquinamento e distruzione dell’ecosistema. Per cui, il biologico fa male, la decrescita è una follia, curarsi con le erbe è da malati di mente, praticare vie alternative è “antiscientifico”, per cui Fukuoka risulterà un fenomeno folkloristico ai parrucconi che pensano di sostituire la scienza a Dio o chi per lui, ritenendo l’uomo, cioè la scienza, infallibile e indiscutibile. Chiamasi scientismo e non scienza. Chiamasi volontà di potenza quando appunto la potenza latita. Chiamasi la pretesa di appartenere ad una civiltà superiore. Rispetto a quali civiltà?

Aggiungiamo un’altra particolarità di Fukuoka: le bombe di semi. Se non si deve arare e sfalciare, si trova un modo alternativo per la semina. Qui spiegato come farle. Vanno molto in America nelle cosiddetta “guerrilla gardening”, che consiste nel “bombardare” ogni fazzoletto di terra libero, seminando piante, commestibili od ornamentali, oppure fiori. Il risultato è spettacolare!

A Detroit, funestata dall’archeologia industriale, in certe zone della città, con questo metodo, sono nati veri e propri giardini. Da qui desumiamo che le difficoltà di comprensione di un modello culturale diverso dal nostro, accennate poco prima, possono essere abbondantemente superate e riconvertite per altre funzioni. Il vero flower power!

https://www.youtube.com/watch?v=Fmkp29Q8gMA

Nulla è lasciato al caso e il resto è causa ed effetto. L’uomo assume l’importanza di un batterio, di un filo d’erba, di un filo di paglia, poiché è compreso nel ciclo biologico e nell’agire delle forze della natura, è interconnesso con l’ambiente che lo circonda. Se proprio dobbiamo fare la differenza, parleremo della razionalità, calmierata dal famoso “distacco dal desiderio”, di alcune scuole buddiste.

Ripetiamo: Fukuoka dà l’idea di serenità. Un piccolo mondo a parte dove realizzare sogni ed aspirazioni legittime. Sia inteso con tutta la benevolenza possibile. La via dell’autorganizzazione è l’unica praticabile se si vuole uscire dalla morsa dei ricatti che impone la contemporaneità. Meno si è ricattabili e più si è forti e consapevoli.

Giorgio Masili

Per approfondimenti:

  • Masanobu Fukuoka “L’agricoltura del non fare” di Larry Korn, ed. Terra Nuova
  • La rivoluzione del filo di paglia di Masanobu Fukuoka, ed. Libreria Editrice Fiorentina
  • Considera la terra. Il valore dell’agricoltura biologica di Lord Northbourne, ed. Castelvecchi
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