C’è chi parla di agricoltura e chi la fa, del resto parlarne è di moda. Esordiscono così quelli di Genuino Clandestino, con un piglio battagliero e di sfida. Chi scrive, anche se discende da una genia di contadini, non ha mai toccato una zolla di terra, pur avendo passato buona parte della propria infanzia in campagna. Buffo, ma vero.
Questo non significa che non si possano cogliere le particolarità di questo mondo, pur non facendone direttamente parte. Come succede? Quasi per osmosi. Stando a stretto contatto con chi l’agricoltura la fa da tempo. Non so se sia di moda parlare di agricoltura. C’è un ritorno alla terra, da parte di tanti, sicuramente, ma non possediamo i dati e non si può stabilire quanto sia significativo tutto ciò.
Volete sapere cos’è una vendemmia o una raccolta delle mele o delle olive? Fate woofing o una stagione. Non conosco nessuno che non l’abbia fatto. E ogni tanto qualche mio conoscente si sporca le mani con l’orto o il campetto dietro casa. Quindi ci scappa il libro, il sito, l’orto sociale della zia.
Va di moda essere vegano, acquistare biologico, senza glutine, usare dolcificanti naturali, eliminare caffè e sigarette o fumare sigarette senza additivi, si beve acqua in bottiglia, evitando il pfas, bevendosi molecole di pet e acqua con residui fissi e temperature alla fonte da galera.
Viviamo in un mondo pieno di paradossi e contraddizioni e alla fine non ne veniamo a capo. Contraddizioni generate dal sistema economico attuale, dalle sue ristrutturazioni, dai cicli che decidono della vita di milioni di persone. Un film già visto, la chiamano globalizzazione.
Chi scrive parla invece di mercato, che dal 1847 è dichiarato “cosmopolita” dal Moro di Treviri, al secolo Karl Marx. Il termine “globalizzazione” è un po’ frusto, oramai.
“Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi.” (Karl Marx Friedrich Engels, Il Manifesto)
Vediamo che se il mercato ha bisogno di estendersi, la produttività deve aumentare e quindi la distribuzione deve adeguarsi a questo processo. Prendiamo l’agricoltura. La meccanizzazione e l’industrializzazione di questo settore della produzione appare come una forma di progresso e in effetti in parte lo è, ma è un progresso finalizzato al mercato, all’espansione di quest’ultimo.
Genuino Clandestino è una delle tante risposte ai mali del mercato mondiale, che ha regolamentato il biologico al punto da stritolarlo per consegnarlo nelle mani dei grandi e medi produttori, svuotandolo di tutti i contenuti sociali e ideali, nicchie a parte, naturalmente. Una risposta fortemente politica, come la pratica dello scambio di semi tra produttori, ad esempio, che in Italia è proibito.
https://www.youtube.com/watch?v=OfISJZFmBNQ
Abbiamo già scritto delle leggi e delle certificazioni a cui va incontro l’agricoltura biologica, alle limitazioni e alle difficoltà per chi lavora con i piccoli numeri, questo è naturalmente per tutelare i circuiti nazionali ed internazionali che hanno compreso da tempo che il biologico è un affare e che vende a tutti i soggetti “neosalutisti” o semplicemente bombardati dalla pubblicità e dall’ampia scelta che i centri commerciali mettono a disposizione nei loro scaffali. Gluten- free, vegan e ora biologico.
Ecco la risposta di Genuino Clandestino, con tanto di stralcio del loro Manifesto, che non è quello di Marx ed Engels :
-Costruire comunità territoriali che praticano una democrazia assembleare e che definiscono le proprie regole attraverso scelte partecipate e condivise, i sistemi di garanzia partecipata sono lo strumento fondamentale per tessere relazioni fra città e campagna e sperimentare reti economiche alternative; Sostenere e diffondere le agricolture contadine che tutelano la salute della terra, dell’ambiente e degli esseri viventi, a partire dall’esclusione di fertilizzanti, pesticidi di sintesi, diserbanti e organismi geneticamente modificati; che riducono al minimo l’emissione di gas serra, lo spreco d’acqua e la produzione di rifiuti, e che eliminano lo sfruttamento della manodopera;
–Praticare, all’interno dei circuiti di economia locale, la trasparenza nella realizzazione e nella distribuzione del cibo attraverso l’autocontrollo partecipato, che svincoli i contadini dell’agribusiness e dai sistemi ufficiali di certificazione, e che renda localmente visibili le loro responsabilità ambientali e di costruzione del prezzo;
–Sostenere attraverso pratiche politiche (come i mercatini di vendita diretta ed i gruppi di acquisto) il principio di autodeterminazione alimentare ovvero il diritto ad un cibo genuino, economicamente accessibile e che provenga dalle terre che ci ospitano;
–Salvaguardare il patrimonio agro alimentare arrestando il processo di estinzione della biodiversità e di appiattimento monoculturale.
Prendiamo l’ultima frase citata: appiattimento monoculturale, potremmo prendere il concetto ed estenderlo per farlo librare da una terminologia prettamente agricola ad una proposizione sociologica. Il pensiero unico è monoculturale. Infatti, quelli di Genuino Clandestino parlano spesso di “agricultura”, giocando sull’ambiguità cultura/coltura.
Se per i pionieri del biologico mangiare è un atto politico, per Genuino Clandestino, coltivare, scansando certificazioni e burocrazie, è cultura. Sovranità alimentare, dal momento che “tu sei quel che mangi”, per scomodare Feuerbach. E questo comporta autorganizzazione, collaborazione, spirito di comunità, pensiero critico, azione, coscienza, ingredienti rari nella società post industriale. Rari ma non in estinzione.
Esistono i circoli virtuosi che si generano quando le persone hanno interessi comuni, lo scoprono e trovano un modo per comunicare. Semplice ma non facile. Ma fattibile ed affascinante. Un modo per trasformare i fucili in aratri, per parafrasare le sacre scritture. E’ un modo per riprendere la propria vita in mano e capire che siamo animali sociali e come tali dobbiamo riprendere a comportarci.
Ora, in rapporto al Manifesto succitato, vorrei sottoporre all’attenzione di chi legge, il decalogo della decrescita felice, giusto per estrapolare i punti di contatto tra le due discipline.
IL DECALOGO PER LA DECRESCITA FELICE
1 – Accorciare le distanze tra produzione e consumo, sia in termini fisici che umani.
2 – Riscoprire il ciclo delle stagioni ed il rapporto con la terra.
3 – Ridefinire il proprio rapporto con i beni e con le merci.
4 – Ricostruire le interazioni sociali attraverso la logica del dono.
5 – Fare comunità.
6 – Allungare la vita alle cose, rifiutando la logica dell’ “ultimo modello”.
7 – Ripensare l’innovazione tecnologica.
8 – Esserci pesando il meno possibile sull’ambiente, come forma di massimo rispetto per noi stessi e le generazioni future.
9 – Ridefinire il proprio rapporto con il lavoro.
10 – Diffondere i principi del Movimento per la Decrescita Felice in ambito politico. (per una lettura estesa del decalogo: http://www.mdfroma.it/ )
Leggendo il decalogo per esteso non è possibile non rendersi conto che concettualmente, si sta parlando della stessa cosa, con due linguaggi differenti. Sempre di politica si tratta. Una politica attiva, partecipata e non ideologizzata. E soprattutto una politica che crede alla connessione a diverse realtà organizzate nel territorio.
Libera da lacci assurdi di leggi che rallentano attività e filosofie che puntano al miglioramento della qualità della vita, quella qualità tanto agognata, quanto negata da fattori di diversa natura ma convergenti in un unico risultato, la depersonalizzazione o derealizzazione sociale.
Un lavoro di tutela dei valori reali e di difesa dei più deboli, cioè gli agricoltori non legati a grandi consorzi, destinati quindi ad essere annientati dalle logiche del neo capitalismo. Una controtendenza, poichè sappiamo che i processi economici non lasciano scampo all’imprenditoria di piccole dimensioni. http://www.ilcambiamento.it/articoli/genuino_clandestino
Avventurieri dell’alimentazione e dell’autodeterminazione alimentare potremmo chiamarli, ma è un percorso da cui deriva un pensiero che getta le basi per un rinnovamento spirituale e filosofico, un ripensare sè stessi e il ruolo che si vuole avere nella società. Consumattori, attori delle proprie vite, renitenti alla passività sociale, negli intenti.
Campi colti è una delle tante iniziative di Genuino Clandestino ed è gustoso il termine che lega il lavoro alla cultura, l’attività agricola ad un pregresso che riporta ad una coscienza sociale, politica e pedagogica, potremmo dire. Lavorare con un progetto, una coscienza, un percorso, degli obiettivi, è fortemente educativo. Senza urtare gli antispecisti,
Rimette l’uomo al centro dell’universo, finalmente al suo posto, cioè in interazione e, se vogliamo, in simbiosi con la natura. Discorso annoso, reiterato ad libitum, ma difficilmente riscontrabile nella realtà. Per ora si tratta di un esperimento, di un tentativo incrociato, di un appropriarsi di vecchie istanze emerse il secolo scorso e abbandonate in luogo di trasformazioni sociali che ci hanno presentato un mondo come lo conosciamo oggi, cioè nichilista, incomprensibile, esasperato e sovraffollato.
Tornando ai campi colti, notiamo che si parla di consumattori che, lungi da essere un errore grammaticale è una chiara contrazione di consumo e attori, una crasi insomma, che restituisce la patente di consapevolezza a chi acquista, obiettivo di molte cooperative sociali e non solo, come ben sappiamo.
Di carne, ooops!, verdure al fuoco, ce n’è a sufficienza…. potremmo concludere dicendo che a forza di rincorrere utopie potremmo ritrovarci davvero in un mondo a misura umana.
Basta provarci.
Per approfondire, inseriamo il link al Documentario di Genuino Clandestino: https://www.youtube.com/watch?v=9VLTAhakKaQ
Giorgio Masili